GNOOMES
★★★
“Stargaze is like a human state, when you’re lying on the grass with your friends, telling funny stories, and watching shooting stars./ “Lo stargaze è come una condizione umana, quando sei disteso sull’erba con i tuoi amici, raccontando storie divertenti e guardando le stelle cadenti”, così i russi Gnoomes descrivono la propria musica su Bandcamp. Hanno all’attivo un EP, “It’s moonbow-time, boy” (2014) ed un album, “Ngan!” (ottobre 2015), uscito per la Rocket Recordings, etichetta britannica, che ha pubblicato, tra gli altri, Anthroprophh, Goat, Gnod e gli italiani Lay Llamas. Sono una band di base a Perm’(Para ma, parola ugro-finnica che significa terra lontana), città situata ad ovest della catena degli Urali. La line up è a tre: Alex Pyankov (basso, voce), Pavel Fedoseev (batteria, percussioni) e Dmitry Konyushevich (chitarra). Giovani musicisti con la voglia di “fuggire dalle realtà russe e di connettersi con il resto del mondo tramite le proprie canzoni” e che, nel loro isolamento, sono riusciti a trovare una formula sonora, magari non personale ma sicuramente d’effetto, capace di muoversi tra shoegaze, dream pop, psichedelia e kraut rock. L’album di debutto, a sorpresa, contiene solo quattro brani :”Roadhouse”, “Myriads”, “Moognes” e “My son”. Un po’ pochi, sono quelli che potrebbero stare su un EP. Ma c’è un perché di questa scelta: la prima e l’ultima traccia superano i quattordici minuti. Tempo che, a dire la verità, passa velocemente perché ogni pezzo, dal più breve a quello più lungo, è multisfaccettato: si compone di più strati, di fondo c’è l’abitudine a tendere verso un suono dilatato e psichedelico, che però riesce a contenere al suo interno una predisposizione, naturale e spontanea, per la melodia pop e, a volte, c’è anche spazio, sottotraccia, per chitarre fuzz e rumorose. Che però sono completamente assenti nell’ultima (non) canzone, la cui struttura a vortice ha dinamiche labirintiche e ripetitive, con atmosfere ambient tendenti a ritmi kraut nel finale. Nel suono del trio sono quindi fondamentali due componenti: quella sognante e quella cosmica, quest’ultima presa in prestito dal kraut rock e dal space rock. Non stupisce quindi che “Roadhouse”, primo brano in scaletta, voglia essere, a detta della band, “una versione psichedelica di Autobahn”.

GINAH
★★★
“GINAH è 3 persone”, così gli piace definirsi, un’entità unica con 3 teste, anche se oggi le teste sono diventate 4.
Il progetto GINAH nasce nel 2006 da uno split di una precedente esperienza con un interessante seguito nella scena Vittoriese, gli Asilonido. I GINAH nella loro formazione originaria sono Ralph Rosolen (piano, rhodes, synth), Roberto Papa (chitarra, basso), Dario Lot (batteria). I tre, tutti di Refrontolo, un piccolo paese della zona collinare di Conegliano e Vittorio Veneto sono amici da sempre, condividono la passione per la natura, meravigliosamente potente e non sempre benevola, dei propri luoghi. I riferimenti musicali sono i più svariati (Radiohead, Slint, Nine Inch Nails, Pink Floyd, Tool, Beatles, Swans, SigurRos, Godspeed, Boards of Canada…).
I GINAH hanno mosso i primi passi suonando nei locali della zona (Bianconiglio, Mavv, Zion, Apartamento Hoffman) ottenendo l’attenzione interessata e l’apprezzamento di un pubblico colto ed esigente. Si sono esibiti sul palco del CSO Rivolta di Marghera, hanno partecipato a diversi festival della zona come il Rock at Tarz, hanno aperto il concerto degli americani This Will Detroy You ed hanno suonato all’Home festival di Treviso sul palco della Go Down Records.
I GINAH hanno alternato in questi anni di attività periodi di grande produttività e presenza a momenti di pausa più o meno lunghi, ma necessari per trovare ispirazione ed energia. Per i GINAH comporre un pezzo è un processo lungo e dispendioso, la loro modalità compositiva parte dall’improvvisazione in sala prove, ognuno apporta secondo la propria sensibilità, ci sono tre teste pensanti, è come un dialogo continuo in musica, ognuno “parla” attraverso il suo strumento, alla fine serve fermarsi, mettere insieme i pezzi del “discorso”, vedere se funziona, capire se ha un senso, raccogliere quanto di buono viene prodotto, plasmarlo, renderlo nella sua essenza e raffinarlo prima di presentarlo al pubblico. I GINAH sono molto esigenti sulla loro musica, non si ritengono talentuosi per cui devono faticare per ottenere il sound che si aspettano. I loro pezzi viaggianti e onirici derivano dai loro viaggi fisici e mentali, ma anche dal loro amore per i loro luoghi, per le loro colline e le loro montagne.
Nella primavera del 2013 i GINAH decidono di entrare in studio per fissare in un disco le loro idee. Scelgono il Garage Studio e si affidano per la produzione all’esperienza di Marco Pagot (Chinasky, Maya Galattici), il lavoro è lungo e certosino, non senza pause (come nello stile dei GINAH) per prendere fiato e vedere le cose dall’esterno. In alcuni loro pezzi vengono inseriti oggetti sonori di Giuseppe Piol, produttore, sperimentatore e compositore conosciuto nella scena elettro/trance underground come Bhasmantam. I GINAH non cantano, i loro pezzi sono strumentali, tuttavia nel disco ci sono gli interventi delicati e sognanti di Cristiana Buso (Geos) e la voce profonda ed evocativa di Jordan Buttignol. I GINAH completano le registrazioni e la produzione del loro lavoro a fine 2014, nel frattempo alle 3 anime pulsanti del gruppo si aggiunge Michele Botteon che entra nella nuova formazione ufficiale a 4.
I GINAH stanno progettando un tour primaverile per promuovere il loro disco “Sorry For The Delay” (Garage Records) che partirà dai locali Vittoriesi per emigrare in Europa con date a Strasburgo e Berlino.
GINAH suona a fari spenti, con la testa bassa ed il cervello sulle nuvole.